mercoledì 20 marzo 2013

Il Gattopardo // Giuseppe Tomasi di Lampedusa



Autore: Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Genere: Romanzo 

Editore: Feltrinelli 

Anno: 1958

Prezzo: 8 Euro (Ebook 5,99)


Pagine: 254






Ebbene si, io sono una delle poche persone della mia generazione a non essere stata obbligata a leggere questo classico della letteratura italiana; ho quindi deciso di colmare questo vuoto intellettuale. 
Per chi non sa di cosa parla (vi assicuro che qualcuno c'è, tipo il mio ragazzo che lo aveva nella libreria ma ne ignorava il contenuto..) riassumo in breve il contenuto: don Fabrizio Salina, un nobile siciliano, racconta le vicende che seguono lo sbarco dei Mille nell'isola e la formazione del Regno Sabaudo. Alle vicende politiche si intrecciano quelle private, in particolare l'amore (o il matrimonio di convenienza, dipende dal punto di vista..) tra l'orfano ma nobile Tancredi e la affascinante Angelica, figlia del sindaco del paese, tanto villico quanto ricco. 
Il lento declino della secolare casata Salina è seguita pari passo da i cambiamenti sociopolitici che porteranno   alla fine di quei valori a cui don Fabrizio e le figlie si aggrappano ma che sono ormai solo un pallido sfondo del nuovo Regno d'Italia. 

Il libro è stato pubblicato nel 1958 e scritto nei quattro anni precedenti da Giuseppe Tomasi di Lampedusa ispirato alle vicende del bisnonno che aveva vissuto i giorni del Risorgimento in Sicilia e a cui si ispira per la figura di don Fabrizio, quindi i personaggi sono non solo credibili ma hanno una propria vita, sempre in conformità con la società dell'epoca. Il protagonista è un nobile, don Fabrizio, che è un progressista e appoggia la nascita del nuovo stato fiducioso che le cose rimarranno sempre come sono ed erano da secoli, ma ciò lo porterà alla rovina. 
Buona parte del racconto parla di Tancredi, il nipote adottivo di don Fabrizio che tutti amano e che dissipa gli averi dello zio; promesso sposo della cugina un po' cessa rimane ammaliato (come tutti d'altronde) dalla bellezza di Angelica (un nome, una garanzia...) e se la sposa, anche lei lo fa per aspirare ad un miglioramento del proprio stato sociale, tant'è che a quanto pare i tradimenti nel corso degli anni saranno frequenti. 
Lasciando perdere la critica fatta da gente che "ne sa" vi posso dire che ciò mi ha spinto a due riflessioni. 
La prima è che il tema centrale del romanzo per come l'ho interpretato io è la disillusione: la fiducia nel futuro si tramuta in miseria, il secolare prestigio diventa ostentazione del ridicolo (la cappella con le reliquie, ma non scherziamo....). Inoltre il Risorgimento ha portato via via al sollevamento di quello spesso strato di apparenze che teneva insieme il teatrino di balli, convenzioni sociali e menate varie (don Fabrizio va a donne mentre accompagna Padre Pirrone in paese e si giustifica dicendo che la moglie Stella non gli fa vedere manco l'ombelico...E quì mi fermo perché mi parte un embolo), il che direi che è tutto di guadagnato per una società immobile che si lascia sedurre solo da una smaliziata diciassettenne con la pelle di pesca (sempre le belle la spuntano porca miseria!!!).

Inoltre dopo 152 anni dopo l'Unità d'Italia leggere il famoso monologo di don Fabrizio mi ha fatto riflettere.

"In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di 'fare'. Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono venticinque secoli almeno che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche civiltà eterogenee, tutte venute da fuori, nessuna germogliata da noi stessi, nessuna a cui noi abbiamo dato il 'la'; noi siamo dei bianchi quanto lo è lei Chevalley, e quanto la regina d'Inghilterra; eppure da duemilacinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi: è colpa nostra. Ma siamo stanchi e svuotati lo stesso." (p.160 - 161)

Il fatto che ancora oggi questo discorso mi risulta a tratti familiare e attuale mi mette una tristezza infinita..Vorrei non sentire nessuno, mai, così "stanco" da non avere più la forza di lottare per il proprio destino, per il proprio futuro perché le circostanze ci travolgono e non ci sentiamo parte della realtà e del paese in cui viviamo. 
Forza ragazzi, dobbiamo essere i piccoli mattoncini propositivi che si oppongono al futuro che oggi ci viene prospettato.

Buona lettura e alla prossima!!!

_Ale

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