sabato 28 settembre 2013

Acciaio // Silvia Avallone

Autore: Silvia Avallone
Titolo: Acciaio 

Genere: Romanzo  
Editore: Rizzoli
Anno: 2010 

Prezzo: 18 Euro
Pagine: 368







Anna e Francesca. O meglio: AnnaeFrancesca, come tutti si riferivano a loro, dove va una c'era anche l'altra, sempre insieme, una cosa sola fin dalla loro infanzia. 
Anna e Francesca hanno 13 anni, vivono a Piombino, in via Stalingrado in uno di quei quartieri operai a pochi passi da uno dei luoghi più belli d'Italia eppure così lontane dai turisti che prendono il traghetto per l'Elba: loro in vacanza non ci sono mai andate.
Passano le loro giornate in spiaggia o a casa e la festa di Ferragosto è l'Evento.
Sanno di essere belle e lo sbattono in faccia alle loro coetanee che in spiaggia si coprono con l'asciugamano, giocano con i maschi, non si vergognano a ballare seminude consapevoli di essere viste da tutto il palazzo di fronte e sanno che la loro bellezza è la sola cosa che hanno.
Sono sole contro il mondo: vivono in famiglie difficili, il padre di Anna è un delinquente che di spaccarsi la schiena per mantenere la famiglia non ne vuole sapere, mentre Francesca e sua madre sono vittime di un padre-padrone che risolve ogni sgarro con le botte.
In tutto questo la Lucchini, l'acciaieria che da lavoro agli abitanti del quartiere domina tutto, contamina l'aria, fagocita vite ed energie, distrugge tutto ciò che di bello ci potrebbe essere.

Leggendo il libro mi immaginavo una scena tipo immagini di Dorè della rivoluzione industriale inglese...Nubi cupe e grige che coprono tutto, edifici fatiscenti e sovraffollati, il che di per se è alquanto anacronistico tenendo conto che la storia è ambientata nel 2001 (non che sia significativo dato che a parte l'episodio dell'11 settembre la vicenda è totalmente slegata dalla realtà).
Di per se non mi è spiaciuto, vi confesso che alla fine mi sono quasi commossa. La storia di questi "ragazzi perduti" che non hanno altra via d'uscita al di fuori della morte sul lavoro o per la droga, le ragazze che sognano di farsi strada apparendo su Canale 5 (!!!!), le madri che sembra vivano negli anni '50...Insomma, ha una sua logica, un suo ragion d'essere se non fosse che, accidenti, con questo libro ha vinto il premio Strega e alcuni altri prestigiosi premi!
L'ho letto velocemente anche curiosa di come andasse a finire, ho trovato molto bella questa storia di amicizia profondissima, anche piuttosto ambigua tra Anna e Francesca, di come l'autrice descrive le dinamiche adolescenziali, ma perdonatemi se vi dico che l'ho trovato molto più vicino ad un romanzo adolescenziale anche per la superficiale visione del mondo che viene data.
Probabilmente mi sbaglio visto il grande successo letterario ma dopo aver letto due libri che hanno vinto in passato lo stesso premio (Pavese e Ginzburg) mi aspettavo di meglio...


venerdì 27 settembre 2013

Lessico famigliare // Natalia Ginzburg

Autore: Natalia Ginzburg
Titolo: Lessico famigliare

Genere: Romanzo autobiografico 
Editore: Einaudi
Anno: 1963

Prezzo: 12 Euro
Pagine: 278







Natalia Ginzburg è una delle figure centrali della letteratura italiana del dopoguerra nonché coinvolta nella vita politica del Paese a partire dal 1969 e nel 1983 viene eletta in Parlamento tra le liste del Partito Comunista Italiano.
Questo romanzo, che riceve il premio Strega nel 1963 raccoglie la memoria non solo della autrice ma anche e soprattutto della propria famiglia tra gli anni '20 e '50.
Natalia Levi vive a Torino con i genitori e i tre fratelli, il padre è uno scienziato triestino di origine ebraica e la madre è milanese di origine cattolica. Una famiglia di altri tempi, genitori di altri tempi, un'educazione impartita come oggi sarebbe impensabile, una dignità come solo le famiglie di un tempo sapevano mantenere nonostante la mancanza di soldi e il sentirsi braccati durante la guerra.
Il padre, Giuseppe Levi, è la figura centrale della famiglia, un uomo burbero e facilmente irritabile di cui Natalia fa un impietoso (ma in fondo dolce) ritratto.

Nella mia casa paterna, quand'ero ragazzina, a tavola, se io o i miei fratelli rovesciavamo il bicchiere sulla tovaglia, o lasciavamo cadere un coltello, la voce di mio padre tuonava: Non fate malagrazie! Se inzuppavamo il pane nella salsa, gridava: – Non leccate i piatti! Non fate sbrodeghezzi! Non fate potacci! Sbrodeghezzi e potacci erano, per mio padre, anche i quadri moderni, che non poteva soffrire. Diceva: – Voialtri non sapete stare a tavola! Non siete gente da portare nei loghi! E diceva: – Voialtri che fate tanti sbrodeghezzi, se foste una table d'hôte in Inghilterra, vi manderebbero subito via.

Le gite in montagna sono memorabili, così come i rimproveri verso la moglie o sulle scelte dei figli.

Gino si iscrisse poi in ingegneria; e quando tornava a casa dopo un esame, e diceva che aveva preso un trenta, mio padre chiedeva: - Com'è che hai preso trenta? Com'è che non hai preso trenta e lode? E se aveva preso trenta e lode, mio padre diceva: - Uh, ma era un esame facile.-

La madre è invece una donna semplice sempre di buon umore, che come molte altre madri ha il compito del "genitore buono", è lei il collante della famiglia, che si prende cura affettuosamente dei figli smussando il duro carattere del marito.
Il Fascismo è un morbo che anche non volendo lentamente infetta tutto, anche le dinamiche familiari. I Levi sono tutti convinti antifascisti così come i propri amici; fratelli e il padre vengono arrestati, l'odioso regime condiziona le loro vite tanto da dover andare via da Torino.
I figli si sposano, la famiglia si divide.

Lo stile è semplice e piacevole, in netto contrasto con la complessità del romanzo in se, un microcosmo descritto con un linguaggio pudico, sincero, senza sconti e finzione. Non è una apologia, la sua famiglia non è perfetta ma proprio per questo è degna di essere raccontata.  
Lessico famigliare non vuole però essere una semplice biografia e di fatto non lo è. Quello che Natalia racconta in modo a volte distaccato è la storia di un'Italia che cambia, ferita, che si rialza. In parte perché il salotto di casa Levi era frequentato da alcune delle personalità più importanti dell'epoca come Vittorio Foa, Adriano e Camillo Olivetti, Filippo Turati, Cesare Pavese, Felice Balbo, Anna Kuliscioff, Franco Rasetti, Felice Casorati, Eugenio Montale, ma anche perché questa potrebbe essere la storia di molte famiglie. 
La stessa autrice ha scritto: Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all'estero: e non ci scriviamo spesso. Quando ci incontriamo, possiamo essere, l'uno con l'altro, indifferenti o distratti, ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte nella nostra infanzia. Ci basta dire: "Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna" o "De cosa spussa l'acido solfidrico", per ritrovare ad un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole. Una di quelle frasi o parole ci farebbe riconoscere l'uno con l'altro, noi fratelli, nel buio di una grotta, fra milioni di persone. Quelle frasi sono il nostro latino, […] testimonianza di un nucleo vitale che ha cessato di esistere, ma che sopravvive nei suoi testi, salvati dalla furia delle acque, dalla corrosione del tempo. Quelle frasi sono il fondamento della nostra unità familiare, che sussisterà finché saremo al mondo, ricreandosi e resuscitando nei punti piú diversi della terra, quando uno di noi dirà — egregio signor Lippman — e subito risuonerà al nostro orecchio la voce impaziente di mio padre: "Finitela con questa storia! L’ho sentita già tante di quelle volte!"
Non è proprio questo ciò che è una famiglia?

martedì 24 settembre 2013

Welcome Autumn



Vedo che post con questo titolo sono presenti in quasi tutti i blog e questo entusiasmo verso la nuova stagione mi sorprende: pensavo di essere l'unica al mondo ad odiare l'estate e preferire la stagione più deprimente dell'anno (d'inverno nevica e c'è il Natale, quindi si salva). 
Ogni volta che penso all'autunno mi viene in mente una frase del film C'è posta per te: "Non vai pazza per New York in autunno? Mi fa venire voglia di comprare quaderni e matite. Ti manderei un bouquet di matite ben temperate se sapessi il tuo nome e indirizzo."  e sorrido.
Quando ero bambina non vedevo l'ora di comprare diario e quaderni perché l'inizio della scuola mi entusiasmava; oggi invece di tutto ciò mi è rimasta solo l'ossessione per gli articoli di cartoleria e pensare all'università mi nausea abbastanza.
Dell'autunno amo gli gnocchi di zucca della mamma, le caldarroste, il risotto ai funghi, guardare fuori dalla finestra e vedere la natura cambiare lentamente sotto i miei occhi, l'inizio delle nuove stagioni dei telefilm, lo stare nel letto fino a tardi perché fuori piove e il fatto di avere il mese di Settembre libero da impegni accademici. Le giornate si fanno più corte, prendere i mezzi pubblici non è più così intollerabile, il carico didattico riparte da zero. 
Non sono una da buoni propositi stufa di disattenderli, so che è solo una questione di priorità e per quanto riguarda i cambiamenti a parte quelli necessari (tornare a vivere nella Big City) altri in vista non ne vedo.
Ah, ho cambiato operatore telefonico, questo almeno vale?









La bella estate // Cesare Pavese



Autore: Cesare Pavese
Titolo: La bella estate

Genere: Romanzo
Editore: Einaudi
Anno: 1949
Prezzo: 6,5 Euro
Pagine: 111 




E' raro che accada ma a volte aprendo un libro scatta come una scintilla nella mia testa e capisco che ciò che ho tra le mani è qualcosa di prezioso, di raro e pregiato che devo leggere lentamente per assaporarne ogni parola. E lui era lì nella libreria di casa mia da anni senza che l'avessi mai notato. Non avevo pregiudizi anche perché la mia conoscenza degli scritti di Pavese si limita credo a un brano tratto da La casa in collina nell'antologia di quinta ginnasio (ormai perso nella memoria), perciò mi era del tutto estraneo quel timore reverenziale che si ha nei confronti dei Grandi.
Non nego che per me non è stata una lettura esattamente semplice perché non è mai facile fare i conti con la fragilità dell'animo umano; è l'opera con cui Pavese ha vinto il premio Strega nel 1950, prima di uccidersi e il presagio della morte è presente in tutti i racconti ed è l'elemento di chiusura dell'ultimo: è un romanzo di crescita e disillusione e la morte sembra essere il naturale epilogo.
Ve lo dico, la mia non è una recensione perché sarebbe inutile provare a farlo, è un'opera così completa e perfetta che sarebbe pleonastico, vorrei invece cercare di spiegare perché vale la pena leggerlo. 

I tre romanzi La bella estate, Il diavolo sulle colline e Tra donne sole che sono quì raccolti sono stati sviluppati autonomamente; leggendo però la percezione che si ha è che in fondo i nomi e l'estrazione sociale dei protagonisti sono diversi ma il senso di smarrimento e la volontà di sperimentare ogni aspetto della vita è quello di ogni giovane, di chi è stato giovane e di chi lo sarà: le notti in bianco a bere, a vagare senza meta, a scappare da qualcosa che non si sa cosa sia, ad illudersi fino all'ultimo guardando alla realtà deformata dall'inesperienza.
Pavese ha avuto la capacità unica di descrivere questo spirito con estrema sensibilità, al di sopra di ogni giudizio morale e ne risultano personaggi così complessi, così vicini che mancano solo di fisicità per essere reali. 
Tra tutti i racconti quello che ho preferito è il primo, forse quello in cui la disillusione è più impietosa, forse anche quello che sento più vicino per le mie esperienze anche se quello più commovente (nel senso originale del termine) è sicuramente l'ultimo, in cui l'autore sembra porre la morte come unica soluzione al senso di inadeguatezza e solitudine.




Lana del Rey // Summertime Sadness 



martedì 17 settembre 2013

Il corpo sa tutto // Banana Yoshimoto

Autore: Banana Yoshimoto 
Titolo: Il corpo sa tutto



Genere: Raccolta di racconti
Editore: Feltrinelli
Traduzione: Giorgio Amitrano
Anno: 2000
Prezzo: 6,5 Euro
Pagine: 136





Questa raccolta, pubblicata nel 2004 in Italia, mi era rimasta del tutto indifferente fino a quando mia madre non me lo ha comprato: non è tra i suoi romanzi più famosi, non è recente e sono abbastanza sicura che per i più il racconto breve non è la narrazione che i più considerano congeniale.


I racconti sono tredici, ognuno tratta tematiche diverse, quindi ognuno meriterebbe di godere di un proprio giudizio e di una propria autonomia, anche se devo ammettere che solo tre di questi mi sono piaciuti veramente e due in particolare li ho trovati al limite del nauseante; apparentemente non c'è un collegamento tra i racconti ma è il titolo il filo che tiene unite le tredici perle, ma in The sound of silence viene spiegato il motivo:
La persona che nasconde e quella a cui viene nascosto, in una parte profonda di loro stesse, sanno tutte e due di sapere. Anche se la differenza sta solo tra il dire e il non dire, a causa del fatto di aver tracciato una linea, man mano che aumenta il peso del tempo, può anche crearsi una grande lacerazione. Ma può anche accadere che, per il fatto di non aver detto, si possano evitare delle irreparabili ferite. A seconda del carattere dei personaggi coinvolti, quale sia la soluzione migliore può variare, ma ad ogni modo, l'unica cosa che mi sembra sicura è che il corpo e la mente delle persone ricevono e trasmettono molte più informazioni di quanto le persone stesse non pensino. Questa colorazione misteriosa a volte mi spaventa, perché mi dà la sensazione di essere completamente esposta, a volte mi conforta e mi stringe il cuore.
 Sapete che sono una grande fan di Banana Yoshimoto, ciò che mi affascina è la centralità che assume l'interiorità all'interno della vita dei personaggi, la grande fiducia nell'essere umano, nelle sue sensazioni e sentimenti.
Ogni racconto è intimo, personale, alcuno più degli altri (il mio preferito è il primo), alcuni piuttosto improbabili ma sempre scritti con grande delicatezza e capacità di infondere serenità.
Non mi ha colpito, non mi ha lasciato quella sensazione soddisfazione all'ultima pagina: è uno di quei libri che si fa presto a dimenticare.
Riflettendoci però penso che sia il libro che consiglierei a chi non ha mai letto nulla di questa autrice, perché vengono trattati tutti i temi a lei cari ma anche perché la struttura fa si che se un racconto non piace si possa passare al successivo.


da PensieriParole

domenica 15 settembre 2013

Expo 58 // Jonathan Coe

Autore: Jonathan Coe
Titolo: Expo 58 



Genere: Romanzo
Editore: Feltrinelli
Traduzione: Delfina Vezzoli
Anno: 2013
Prezzo: 17 Euro
Pagine: 277



Il trentaduenne Thomas Foley è un impiegato del Central Office of Information of London: un lavoro noioso, una vita comune, un matrimonio non troppo felice dopo la nascita della piccola Gill, un vicino che odia. Un giorno viene convocato per una riunione in cui gli viene comunicata la notizia  che gli cambierà la vita: dovrà recarsi per qualche mese alla Exposition universelle et internationale de Bruxelles del 1958 per sovraintendere alla gestione del pub Britannia, all'interno dello stand inglese. Dopo qualche esitazione decide di abbandonare tutto e di buttarsi nell'avventura. 
Il clima è elettrizzante, è il primo evento simile dopo la guerra, la guerra fredda è in pieno svolgimento e l'intenzione è quella di far socializzare rappresentanti di tutti i Paesi (e tutti sappiamo che una volta varcato il confine tutto l'esotico ha un fascino irresistibile); Thomas fin dal suo arrivo viene avvicinato da due individui che lo coinvolgono una una improbabile spy story che sembra più un omaggio ai romanzi di Ian Fleming che mettere in reale pericolo il protagonista, ma che rendono la vicenda più articolata senza che diventi noiosa (il magistrale tocco del maestro..).
Ciò che Coe è in grado di fare è sicuramente far si che il lettore si immerga anche se per poco nel piacevole clima festoso che si doveva respirare recandosi all'Esposizione.

Non nascondo che rispetto a questo libro avevo alte aspettative dato che l'unico libro dello stesso autore che ho letto fin'ora, "La pioggia prima che cada", è magnifico; inoltre la pubblicazione è stata accompagnata da una notevole campagna pubblicitaria e le poche righe sulla copertina ne parlano come "la nuova, esilarante commedia di Jonathan Coe". 
Che sia una commedia non c'è dubbio, ma di esilarante è un po' eccessivo. 
Mi è piaciuto invece moltissima la scelta dell'ambientazione e lo scrupolo con cui l'autore si è attenuto nella documentazione a riguardo...Non ho mai letto un libro in cui l'interessantissimo mondo delle Esposizioni Universali e ciò è sicuramente un elemento non secondario alla narrazione.
Un libro piacevole, scorrevole, senza troppe pretese e in cui anche i temi seri sono trattati con garbo e leggerezza. 

sabato 14 settembre 2013

La signora delle Camelie // Alexandre Dumas

Autore: Alexandre Dumas
Titolo: La signora delle camelie



Genere: Romanzo
Editore: Newton Compton 
Traduzione: Luisa Collodi 
Anno: 1848
Prezzo: 0,99 Euro
Pagine: 127




La morte della giovane Marguerite Gautier sembra quasi passare inosservata in una Parigi della quale fino a poco tempo prima era una delle degne protagoniste, la sua bellezza non poteva certo passare inosservata. 
Un annuncio dell'asta di tutti gli averi della donna attira l'attenzione di un uomo che non ha mai riconosciuto la ragazza di persona ma che la ricorda come "la signora delle camelie" perché erano il fiore che la accompagnavano durante ogni sua uscita; l'uomo decide quindi di recarsi all'asta e di compare un libro in cui c'è una dedica alla defunta firmata da Armand Duval. L'uomo cerca Armand e lo trova sconvolto dalla morte della fanciulla; i due stringono subito una amicizia che spinge il giovane a raccontare la storia dell'amore per Marguerite, iniziando così una lunga analessi che narra la loro travagliata storia d'amore. 
Marguerite è una "mantenuta" (una sorta di "escort" d'alto borgo, che frequenta l'alta società delle stesse mogli degli uomini di cui è amante), Armand è un giovanotto dell'alta borghesia che si innamora perdutamente della giovane (ricambiato), ma non può certo permettersi né di farla sua mantenuta perché non abbastanza ricco, né di macchiare il buon nome della sua famiglia per sposare una cortigiana, ma ciò sembra non gli importi e che l'amore, secondo lui, possa trionfare su tutto e tutti. 
Il loro è un amore che non ha nessuna possibilità di vincere, contro la logica, contro la società, contro il padre di Armand che si oppone, contro il futuro. 
Anche se si sa già che lei morirà sola, man mano che si legge si intuisce come andrà a finire. 
Armand è troppo orgoglioso e geloso (e stupido) per lasciarla andare senza farla pentire della sua scelta, Marguerite è troppo innamorata perché i gesti di lui la lascino indifferente. Ne escono distrutti tutti e due: lei già malata peggiora fino alla morte, lui, nonostante le sue lettere in cui implora perdono, sentirà per il resto della sua vita il peso del senso di colpa di aver distrutto ciò che di più amava. 

Questa è una di quelle storie immortali, e, anche grazie alla sua trasposizione teatrale (La Traviata) e cinematografiche, non perderà mai il suo fascino e la capacità di commuovere.
E' una lettura breve, intensa, che quelli più romantici tra voi adoreranno ma che non lascerà indifferenti neanche chi come me non lo è.

Assolutamente da leggere ma non vi consiglio l'edizione della Newton Compton: la traduzione è magnifica ma è scritto davvero troppo piccolo.



Olly Murs // Dear Darlin'